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Un bambino di otto anni attraversa la strada mano nella mano con il papà Renato. In tasca ha un lingotto d’oro da mezzo chilo (che oggi varrebbe sui 23 mila euro, per intenderci) e per lui è assolutamente normale. È sabato e non c’è scuola quindi lo aiuta il genitore imprenditore e orafo nel business di famiglia e porta con sé il metallo per la fusione. Andrea Ivaldi, 38enne di Valenza Po, conserva centinaia di questi ricordi: a 7 anni, quando andava molto di moda l’ambra, ha chiesto al papà di progettare una collanina con la pietra nel ciondolo da regalare alla fidanzatina delle elementari ed è stato accontentato. All’epoca per lui dividere le pietre preziose per colore era solo un gioco d’infanzia, ma da vent’anni è diventato il suo mestiere e oggi gestisce la produzione di uno stabilimento orafo che si occupa d’incastonatura per un’azienda affiliata a Mattioli.

Per dirla in parole povere, supervisiona artigiani all’opera per gioielli di Bulgari, Cartier, Buccellati e Tiffany, solo per citarne alcuni. E nella sua carriera ha realizzato pezzi unici per clienti particolarmente esigenti, tra cui sceicchi, calciatori e rapper. Non stupisce: ha quest’arte nel sangue, come il fratello Marco (orafo), il suocero Carmine (un’intera vita tra produzione e vendita) e la mamma Corinna (pulitrice orafa). Realizza gioielli e li disegna anche: tra centinaia di pezzi fatti, ha anche ideato il solitario per la moglie, gli anelli per la nascita dei due figli e una collana con le sagome di loro quattro che si prendono per mano.

Per AD svela come aprire il portagioie di famiglia e valorizzare i preziosi che si tramandano di generazione in generazione, come prendersene cura e – perché no? – anche trasformarli e attualizzarli, come insegnano celebri griffe.

Partiamo dalle basi: perché l’oro resta sempre un ottimo investimento?
«Non è solo lusso, ma un bene-rifugio che, come i diamanti, tende a veder lievitare il proprio prezzo oltre che valore».

Questi giorni di reclusione sono un’occasione per prendersi cura dei propri gioielli, ma come si fa?
«I gioielli che abbiamo a lungo conservato in una scatolina possono essersi ossidati ma ridare loro una nuova vita è facile. Innanzitutto evitiamo solventi o sostanze aggressive, bastano acqua calda, sapone per i piatti e spazzolino da denti per togliere via quella patina opaca che si crea quando non vengono indossati per lungo tempo, asciugando poi il gioiello con un panno asciutto. Nel caso invece di pietre preziose, come ad esempio il solitario dell’anello di fidanzamento che una mamma ha passato alla figlia, meglio fare attenzione agli sbalzi di temperatura dell’acqua, che rischia di romperle. Anche il filo di perle, oggi sdoganato anche per le giovanissime, ha bisogno di un po’ di cura, ma niente sapone: basta strofinare singolarmente ogni perla con un panno umido in acqua calda».

E se invece dal portagioie spunta un gioiello che ci sta a cuore ma un po’ “fuori moda”?
«Negli Anni Ottanta, ad esempio, era molto in voga l’oro giallo mentre oggi si preferisce il bianco o il rosè. Con una spesa minima (10-15 euro) un esperto può fare un bagno di rodio, ossia avvolgere con una patina la base che rimane di oro giallo. Oggi di colori ne esistono tantissimi, per non parlare poi del nuovissimo procedimento, il “coating”, usato per valorizzare una pietra colorata dando all’oro le sfumature più diverse, dal pastello al cromato, come nel caso dell’anello Arcimboldo di Mattioli».

In questo periodo le occasioni mondane in cui sfoggiare un gioiello sono pari a zero, però.
«Non è detto: le ricorrenze (un anniversario o un compleanno) si possono e si devono celebrare. Se si vive in famiglia fa bene allo spirito indossare i preziosi, mettere un bell’abito e migliorare così l’umore. Il gioiello ci rende felice perché ci rimanda a quando ci è stato regalato o alle occasioni gioiose durante le quali lo abbiamo sfoggiato. Per non parlare poi del valore affettivo di uno tramandato da chi ci vuole bene».

Potrebbe essere anche un buon momento per tramandare un gioiello?
«La convivenza di lungo termine permette ad esempio ad una madre di aprire lo scrigno dei suoi gioielli e giocare a scambiarli con la figlia ma anche donarglieli. Si crea un senso di stupore simile a quello che ci pervade quando apriamo la scatola delle palline di Natale da appende all’albero. Questo dialogo è anche riscoperta di un mondo affettivo e della propria storia, oltre che a rappresentare una speranza e un augurio per il futuro. Che cosa c’è di più romantico?».

Discorsi simili si fanno di solito in punto di morte: “Quando non ci sarò più, questo gioiello sarà tuo”.
«Non dev’essere così: prestare un gioiello per il matrimonio, regalare un pezzo di sé crea un legame, una complicità inossidabile».

Ci fa l’esempio di una pietra iconica che è stata reinventata?
«Il diamante giallo di Tiffany, 128 carati, indossato da Audrey Hepburn e reinventato per Lady Gaga. Nella prima versione aveva una montatura in stile liberty, nella seconda la linea è più pulita e moderna. Succede a tutti di “cambiare”, persino ai gioielli della corona. L’idea resta sempre quella di non stravolgere nella trasformazione».

Quali sono i gioielli che le è capitato più spesso di reinventare?
«Il più diffuso è la fede, modificata come ciondolo o con una semplice incisione. Chi non vuole indossare quella dei nonni così com’è può trasformarla: una ragazza aveva quelle dei genitori scomparsi, le ha messe una nell’altra e ha pensato di realizzare un ciondolo con entrambe, un’idea semplice ma emozionante. Altre volte mi hanno chiesto di concatenarle e aggiungere una catenina per trasformarle in bracciale, o una pietra, per impreziosire l’anello».

In quale caso, invece, sconsiglia di fondere un gioiello per trasformarlo in un altro?
«Nel caso di un gioiello di un brand. Se ho il serpente di Bulgari o la pantera di Cartier, non venga in mente di fare una cosa del genere perché si tratta di un prezioso iconico. Il valore non è la somma dell’oro e dei diamanti, ma la lavorazione, come le cesellature, che lo impreziosiscono rendendolo unico. Pensa ad una borsa Hermès vintage: potrebbe valere di più di una appena uscita dello stesso brand. Per i gioielli non vale lo stesso principio delle auto, che si svalutano con il tempo: se tenuti bene aumentano il proprio valore con il passare degli anni».

Qual è la tendenza in voga oggi?
«Si è messo da parte bon ton per puntare sulla forza delle donne, come dimostra il B.Zero1 Rock di Bulgari, il Clash di Cartier e il Reve_R di Mattioli, che ha incassato i diamanti al contrario con la punta in alto per ottenere un pavé di “spuntoni”. Lo stile è deciso, punk, con borchie e spigoli».

Ci elenca 5 gioielli must-have che non possono mancare nel nostro portagioie?
«Un braccialetto tennis, un filo di perle, il trilogy (la reinvenzione del solitario), un paio di orecchini con un brillantino come punto luce e un anello da cocktail, cioè qualcosa di vistoso da indossare di pomeriggio, anche con pietre colorate come topazi o tormaline, senza però eccedere».

Che cosa vuol dire?
«Il galateo del gioiello impone che se ad esempio si indossano orecchini vistosi è meglio evitare la collana e viceversa con un collier importante è preferibile non mettere orecchini, per non distogliere l’attenzione dal punto che vogliamo valorizzare».

Il taglio più prezioso per un diamante?
«Quello brillante perché imprigiona al massimo la luce di una pietra. Per esempio, David Beckham ha regalato a Victoria un diamante rosa rarissimo per il suo 30° compleanno, in quel caso per assecondare la forma originale del cristallo si è usato il taglio smeraldo».

Cosa suggerisce per un tocco unico?
«Un orafo capace riesce a realizzare un gioiello basandosi su una bozza o su un’idea, magari partendo proprio da una pietra preziosa che vogliamo trasformare ad esempio in un anello di fidanzamento e renderlo così unico. Non c’è limite alla creatività».

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