5 motivi per leggere AD di giugno
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La casa di Francesco Risso, direttore creativo di Marni, è in un bel palazzo milanese dei primi del Novecento. La facciata è tutto un rincorrersi di timpani, lesene, festoni, come se volessero far dimenticare con la loro abbondanza la cadenza implacabile delle finestre. Una volta entrati nell’appartamento l’impressione si moltiplica, ma come attraverso lo specchio di Alice: perché qui la decorazione diventa vorticosa, un fuoco d’artificio che frulla insieme le grotte di Lascaux, gli anni ’70 ma anche l’Art Déco, il palazzo di Cnosso, i libri di fiabe, l’artigianato tibetano e la Op Art, il design storico e quello rivoluzionario. Senza mai perdere il filo, anche cambiando strada in corso d’opera. «Sono in quella casa da dicembre, e da allora c’è stata una continua evoluzione», spiega Risso. «Ci sono stanze che avrò fatto ridipingere sette volte. Sempre guidato dall’istinto, da quella sensazione che ti arriva da quelle quattro mura che hai intorno».

Nel soggiorno, divano vintage (de Sede) e tavolino di Martino Gamper. Foto di Francesco Dolfo.

L’istinto. È quello che gli ha fatto scegliere questo posto: «Mi è piaciuto il suo andamento strano, a ferro di cavallo, non il classico corridoio su cui si affacciano tutte le stanze. Mi ha fatto pensare alle case di Genova, la città dove sono cresciuto: deliranti, di imprinting classico però piene di irregolarità. Una sensazione di ritorno alle origini. Cerco sempre un po’ quella memoria: alla fine, sono un grande appassionato delle case genovesi. Anche da fuori, questo è un edificio fantastico: curatissimo ma con la patina del tempo. Sono due giochi che vanno in parallelo».

Il processo di decorazione totale è iniziato subito: «Quando ho messo i miei cactus nel salotto mi sembrava di essere a Santa Fe. Abbiamo fatto di tutto per togliere quell’effetto e creare un ambiente un po’ anni Trenta. Abbiamo cercato di incupire tutto perché forse prima c’era troppo colore. È stata un’evoluzione». Parla al plurale perché la pittura delle pareti è stata realizzata insieme a Ludovica Saviane, genovese anche lei, che decora ambienti per lavoro, e una comune amica («Loro sono state velocissime, io all’inizio un po’ meno»).

La cucina con tavolo e sedie anni ’60 di Anders Berglund e Hans Johansson. Verde a cura di Flores di Paola Fieschi e Marilena Capuzzi. Foto di Francesco Dolfo.

Così i «colorini anni ’50» dell’appartamento sono diventati ocra, azzurri, rossi, verdi. E si sono riempiti di pattern uno diverso dall’altro. «Non mi piacciono le cose “leccate”. Una parete dipinta in modo piatto mi fa venire la tristezza, l’ansia. Ho bisogno di umanizzare tutto quello che incontro. Lo faccio anche con i vestiti: nel mio guardaroba niente rimane intatto, è tutto rotto, strappato, vissuto. Sono l’opposto della precisione. All’inizio Ludovica era terrorizzata, questa è una casa di una certa importanza. Gliel’ho detto in tutti i modi: doveva andare a mano libera. Perché la ricetta è proprio quella, riscaldare gli spazi con l’istinto». Tutto è nato durante il lockdown, da alcuni dettagli: «Ho iniziato con le tende, poi le prime pareti. Alla fine mi sono fatto prendere la mano e ho deciso di dipingere tutta la casa». L’ultimo passo, anche se non previsto, di un progetto di decorazione totale che si è rivelato liberatorio.

Anche l’arredamento segue la stessa logica/non logica, intuizioni cromatiche, funzionali, concettuali. «Prendi il divano in salotto: sono partito dal colore. Volevo un divano nero. Doveva dare una sensazione più di squat che di casa elegante. Quattro metri divisi in moduli, lineari e chunky. Stride un po’ in una sala così, con porte altissime, aria istituzionale. Mi piace proprio per questo, perché ti dà la voglia di non essere troppo composto». Per quello che riguarda il design, Risso preferisce cose a cui il tempo abbia dato un po’ di patina: «Sono aperto, vado dalla preistoria agli anni ’70. Tra i contemporanei ammiro molto il lavoro di Martino Gamper, del resto anche lui è uno che stravolge oggetti del passato. Prende, distrugge, rimonta. Questa cosa mi piace molto». Come Gamper, anche Risso sperimenta modalità d’uso, nuove idee: «Voglio poter stare per terra, seduto su un divano, sdraiato su un tavolo e sapere che comunque va tutto bene». La casa per lui è un luogo da condividere. Come ha fatto per la presentazione online della collezione Marni A/I 2021, quando ha trasformato tutti gli ambienti in un grande set, con modelle e performer: «È stato emozionante, per i musicisti che da un anno non suonavano in pubblico ma anche per noi. Un circo: i mobili tutti spostati, in cucina c’era un pavimento d’erba vera. Ma alla fine non è stato così diverso da come vivo la mia casa ogni giorno, ogni sera».

È sempre l’idea di libertà che lo ha guidato nella scelta dei mobili e degli oggetti, molti provenienti dalla galleria di Nina Yashar («Un’amica di cui ho sempre ammirato il gusto»), altri – come la chaise-longue vagamente antropomorfa e sur­realista che tiene in camera – realizzati dallo scenografo Mario Torre. Libertà dalle regole imposte, cercando equilibri personali. Con qualche punto fermo: per esempio la luce, che va benissimo quando è naturale. Ma quando è artificiale non deve mai essere troppo forte: «È venuta mia mamma a trovarmi per qualche giorno, le luci del corridoio – rosse, che le accendi e non vedi niente – l’hanno fatta ammattire». Se gli si chiede se ha già dei piani su come potrebbe essere questo appartamento in futuro, Risso risponde di no. «Chissà, quando ricominceremo a uscire e ci saranno the Roaring Twenties probabilmente dovrò ripulire tutto e diventerà bianco. Vedremo».

Trovate l’articolo con le foto di Francesco Dolfo a pagina 122 di AD di giugno. 

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