Oggi entriamo nella casa a Milano di Maria Vittoria Albertini, fondatrice e proprietaria di MariaVi brand di tablewear dal gusto fresco e raffinato.

Come descriveresti lo stile della tua casa?
«La mia casa ha uno stile molto personale, si può dire che sia cresciuta con me e con la mia famiglia. Pareti grigio chiaro e parquet hanno permesso, nel corso degli anni, di arricchire uno spazio neutro con elementi decorativi e oggetti antichi e moderni, diversi tra loro ma in grado di convivere e comunicare armoniosamente. Il terrazzo che circonda l’ultimo piano della casa offre un costante contatto, per me fondamentale, con la natura».

Quali sono i pezzi ai quali tieni di più?
«Quasi tutti i pezzi che si possono vedere nella mia casa sono rappresentativi di un ricordo o di un momento: dal fondo di una bottiglia di grappa levigato dal mare e trovato da uno dei miei figli sulla spiaggia di Saint Tropez, alle poltrone rivestite in velluto bianco e rosso comprate, senza avere ancora in mente una collocazione, quando erano da buttare via, al cassettone antico lasciatomi da mia nonna. Non posso quindi dire che ci siano dei pezzi chiave, sicuramente però ci sono degli elementi di arredamento che ancora mi trasmettono il sentimento di quando li ho visti per la prima volta; cioè la percezione di aver trovato l’oggetto perfetto per arredare un posto vuoto che neanche immaginavo dovesse essere riempito. Tra questi ci sono sicuramente i tappeti Nichols degli anni ‘20 che colorano i pavimenti del salotto; ad attirare la mia attenzione è stato un angolo fucsia sotto una montagna di tappeti antichi classici nel negozio di un antiquario di Milano. Mi ricordo ancora l’incredulità e l’emozione che ho provato quando ho scoperto che i tappeti sembravano fatti su misura per il mio soggiorno. La testa di tricheco in resina è stato uno dei primi oggetti comprati per la casa quando quasi non avevamo i divani; l’ho vista e me ne sono innamorata, mio marito, che è meno istintivo di me, avrebbe voluto rifletterci ma io ho insistito e non me ne sono pentita. Adesso non potrei più immaginare il mio salotto senza tricheco. Il barbagianni in porcellana biscuit, che si perde nell’ingresso tra le foglie di Fornasetti, è un regalo di mia mamma che conosce la mia ammirazione per tutto quello che riproduce soggetti naturali. I quadri di Gregorio Scilitian, appartenuti alla famiglia di mio marito e arrivati in casa nostra recentemente, sono appesi a pareti che per anni sono state nude e che mai avremmo pensato di coprire; quando però abbiamo aperto le casse che contenevano i quadri non abbiamo avuto dubbi sulla loro collocazione. Dalla prima casa avuta ci ha accompagnati, invece, il quadro rosso e nero di un importante artista aborigeno. Il mappamondo delle stelle è un regalo di mio padre, che, come me, è appassionato di oggetti antichi particolari. Sempre mio padre mi ha regalato la moneta africana che si trova sulla libreria. E poi ci sono i libri e le piante del terrazzo, che non sono veri e propri pezzi di arredamento, ma che in casa mia sono elementi indispensabili».




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In base a cosa è stata fatta la scelta di questa casa?
«La prima volta che io e mio marito siamo entrati in quella che adesso è la nostra casa, siamo rimasti colpiti dalla luce che dal terrazzo si riversava sull’ambiente interno e dalla vista che comprendeva la Madonnina, il campanile di Sant’Ambrogio e la meravigliosa cupola della casa in stile eclettico dall’altra parte della strada. La zona della città era quella che avevamo identificato come più adatta per crescere la famiglia che stavamo formando, centrale ma allo stesso tempo residenziale e tranquilla. Inizialmente abbiamo acquistato il piano superiore dove oggi c’è la zona giorno e successivamente, con l’arrivo del nostro secondo bambino, il piano sottostante dove ci sono le stanze private».

Come hai trascorso il periodo di isolamento?
«Lavorando a nuove collezioni e progetti per il mio brand di tableware, quindi principalmente disegnando.

Quanto l’architettura e il design influenzano il tuo lavoro?

Anche se a prima vista non si direbbe, vista l’ispirazione bucolica della mia linea di arredamento per la tavola, l’architettura influenza molto il mio lavoro perché mi permette di dare una collocazione chiara ai prodotti che creo e quindi a studiare forme e dimensioni che meglio si adattino anche ai design più contemporanei».

Cosa fai per staccare la spina?
«Leggo, disegno e passo del tempo con la mia famiglia. Possibilmente in mezzo al verde».

Che cos’è casa per te?
«Il posto dove ho tutto quello che mi serve per stare bene: la mia famiglia».

L’oggetto che vorresti fare sparire da casa ma non riesci?

«Vorrei far sparire due sedie del tavolo da pranzo dallo schienale ottagonale. Mi sembravano bellissime quando le ho comprate ma dopo il restauro hanno smesso piacermi. Non riesco a liberarmene perché sono legate dal tessuto alle altre sedie del tavolo e quindi è molto difficile trovare dei pezzi che possano stare bene al loro posto pur discostandosi dalle sedute già presenti».

Il pezzo che tutti dovremmo avere
«Il pezzo che tutti dovremmo avere è qualcosa che troviamo esteticamente bellissimo a prescindere dal valore economico e artistico dell’oggetto in questione».

Il pezzo che ti trasmette “good vibes”
«Un antico vaso Art déco di Val Saint Lambert in cristallo blu che tengo sul davanzale del bagno di camera mia e di cui ogni mattina ammiro le sfumature di colore».

La tua stanza preferita
«La sala da pranzo, per due motivi: il primo è legato al mio lavoro, perché è lì che vedo se i primi campioni degli oggetti per la tavola che disegno sono come li immaginavo dal punto di vista cromatico, estetico e funzionale. Il secondo motivo è che, pur non essendo una cuoca, mi piacciono sia la buona cucina che l’atmosfera conviviale che si crea intorno alla tavola».

Quella dove trascorri più tempo e ti rilassa di più
«Passo molto tempo in terrazzo, soprattutto quando il clima lo permette: lavoro o leggo sotto la pergola coperta di glicine oppure mi occupo di piante e fiori, attività che trovo molto rilassante nonostante i risultati a volte non siano eccellenti».

In che modo cambierà il nostro modo di vedere/usare/modificare le nostre case post Covid19?
«Probabilmente nel post Covid cambierà il modo di vedere lo spazio; quello che in una situazione normale è vissuto come un nido accogliente diventa una prigione se non lo si può lasciare. Si cercheranno case più grandi, magari con zone all’aperto, e si terrà conto, soprattutto in famiglie numerose come la mia, della necessità di avere uno spazio privato in cui poter lavorare indisturbati. Nelle città, le dimensioni della casa forse diventeranno prioritarie rispetto al prestigio della zona in cui si trova l’abitazione. Questo però vorrebbe dire che la pandemia che stiamo vivendo, una volta passata, lascerà la paura di un nuovo virus pronto a sconvolgere nuovamente le nostre vite e a condizionare definitivamente il nostro modo di vivere e di scegliere le abitazioni e vorrei, ottimisticamente, pensare che non sarà così».

 

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