PIERO GEMELLI CON MARIA VITTORIA BARAVELLI A PRANZO CON L’ARTE

Chi di noi, durante questo 2020 rallentato e paralizzante, non ha pensato almeno una volta di mandare tutto all’aria e partire? L’autore di questa seconda tavola condivide con noi la medesima necessità di evasione. Mi riferisco a Constantin Brancusi, uno degli scultori più importanti del 1900. Nato negli anni ‘70 dell’ottocento ai piedi dei Carpazi in Romania, studiò Belle Arti a Craiova non rimanendo del tutto soddisfatto. Fu allora che cominciò a sognare l’Europa, la storia dell’arte ed i grandi maestri, ma più profondamente si innamorò della Francia. Partì a piedi per raggiungere la ville lumière, Parigi, la città in cui stava soffiando “il vento del mondo”, e che aveva catalizzato artisti come Rodin, (di cui divenne ben presto assistente), Amedeo Modigliani e Marcel Duchamp.

Inebriato dalle avanguardie, dalle continue sollecitazioni e sperimentazioni, Brancusi tuttavia, cercherà di rimanere fedele alle sue origini. Decise di non tradire la Romania, la sua terra, dove era stato osservatore dei montoni fin dalla tenera età
e dove aveva preso parte a riti legati a costumi ancestrali. Per questo, nell’arco della sua vita malgrado il fermento parigino, l’artista mantenne una totale autonomia dalle avanguardie diventando di fatto un unicum della storia dell’arte.

Utilizzerà strumenti di lavoro legati alla terra per arrivare alla più pure ricerche formali e raggiungere l’effetto di un’opera super civilizzata, Materica, organica, riflettente, opaca, fredda. Eppure la materia sembra respirare. È proprio come in un periodo come quello della prima guerra mondiale, in cui la razionalità viene mene e con essa anche il figurativismo, che l’artista predilige l’astrattismo e la continua ricerca di forme primordiali, primitive, primigenie.

Il fine ultimo dell’arte è quello di creare un senso di pace, di meditata quiete e il percorso non può essere costituito dal tormento creativo bensì da una lenta elevazione. La capacità di calibrare l’impossibile, il desiderio di salire, di unire la terra al cielo in un continuum, come nella Colonna senza Fine, in cui una serie di forme romboidali si susseguono all’infinito.

La vita è arte e l’arte coincide con l’esistenza. L’opera è il fine ultimo, è l’inizio del mondo e la sua fine. È l’unione del sacro e del profano, dell’esotico e del classico . La mescolanza e lo stile ibrido sono propri dell’arte indù molto in voga in quel periodo ed esposta nelle sontuose sale del Louvre. Una attenta spiritualità, una espressione contemplativa, un silenzio di elevazione come si vede nella “Musa addormentata”, la cui ricerca di levigata purezza manifesta il motivo plastico della testa che diviene ovale perfetto, liscio fino a divenire un uovo, origine della vita. Una perenne ricerca di “ciò che giace al fondo”.

Un continuo erodere, modellare, lisciare e purificare le superfici che si fanno fluide, come i sassi levigati dall’acqua del fiume che Constantin collezionava da bambino. Chiunque di voi, sia andato a Centre Pompidou a Parigi, saprà che sul retro, sotto l’attento progetto di Renzo Piano, l’Atelier Brancusi, è stato da anni ricostruito. Fedelmente, in maniera filologicamente irreprensibile secondo i desiderata testamentari dell’autore.

Come può Brancusi oramai cento anni fa aver lasciato scritto tutto per filo e per segno? Negli anni ‘20, del 1900 un altro straniero che aveva scelto Parigi diede alle stampe il suo capolavoro. Il titolo era Ulisse e l’autore si chiamava James Joyce. In una sua dichiarazione, Joyce disse che avrebbe voluto dare un’immagine di Dublino, città in cui aveva ambientato il suo romanzo, così completa che se fosse un giorno scomparsa improvvisamente dalla faccia della terra sarebbe stato possibile ricostruirla. Brancusi esattamente come Joyce e non tanto diversamente da come facciamo noi oggi con i nostri smartphone utilizzò e stra abusò della macchina fotografica, della fotografia per acquisire e registrare “pezzi di mondo” come avrebbe teorizzato tanti anni dopo Susan Sontag. Pezzi del suo mondo. Di quelle sue quattro mura a Montparnasse.

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