Cooper & Gorfer
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Cooper & Gorfer
Cindy Sherman
True Fictions – Lori Nix
True Fictions – Bernard Faucon
Robert Capa
Candida Hofer
Robert Capa – Torino

In diverse cover realizzate per il magazine New Yorker,  l’illustratore francese Jean Jacques Sempè ha rappresentato la Grande Mela come una moltitudine di palazzi e grattacieli affastellati uno sopra all’altro, in cui le migliaia di  finestre illuminate colorate in giallo simboleggiano i newyorkesi indaffarati nelle faccende della loro quotidianità. Grandi vedute della città in cui un unico dettaglio, una finestra diversa dalle altre, lascia modo all’osservatore curioso di sbirciare al suo interno. Attraverso i vetri, dietro alle tende scostate, c’è una ballerina che si esercita, un uomo sulla cyclette in tuta da ginnastica, oppure due circensi che fanno saltare le tigri attraverso i cerchi: immagini che raccontano la vita segreta di ognuno dietro a una porta chiusa. Ed è da qui, da quei momenti intimi che è partita la fotografa Gail Halaban per realizzare la sua serie di scatti intitolata “Out of my window”.

©Gail Albert Halaban, Flatiron, Cakes and Balloons, 2009. Kate and David Levinthal.

La serie è nata dalla sua esperienza personale a New York, nel periodo appena successivo alla nascita di sua figlia: la fotografa si è resa conto di cosa volesse dire vivere in una città così densa di persone, molto diversa da Los Angeles, dalla quale si era trasferita dopo aver dato alla luce la sua bambina. Nelle notti insonni si sorprendeva a guardare fuori e a non sentirsi mai veramente sola: sapere che accanto a lei viveva qualcuno, sentire i rumori della strada, delle persone impegnate a fare baldoria nel bar sotto casa le facevano in qualche modo compagnia. Le  finestre per lei sono venute a rappresentare un confine sottile con chi viveva accanto a lei, tra il familiare e l’ignoto, tra i rumori  della città e la quiete delle vite private. Così è nata l’idea di scattare delle fotografie nelle quali i protagonisti erano le persone attorno a lei, viste attraverso la sua finestra. In quindici anni il progetto si è allargato, portandola a scattare nelle case degli altri, per immortalare il loro rapporto con i vicini. Oggi con una macchina fotografica digitale e il supporto di cavalletti spediti per posta e Zoom, è arrivata a realizzare servizi fotografici on demand in tutto il mondo. Da Istanbul a Parigi, passando per Venezia: cambiano gli orizzonti, la forma delle finestre e le architetture sullo sfondo, ma le connessioni umane rimangono le stesse.

©Gail Albert Halaban, Out My Window, Chelsea, Dance Studio, 2009

«Questo progetto riguarda soprattutto il mio desiderio di connettermi con le persone nel mondo e il loro desiderio di connettersi con i loro vicini – spiega Gail Halaban  La finestra è sia un confine che una porta, che collega lo spettatore e il soggetto. Non lavoro dalla strada, ma dalla finestra di fronte: quando si guardano le mie foto, ci si trova nei nei panni del proprietario di casa. Collegare quei vicini, rafforzare quella comunità locale è il cuore di tutto il mio lavoro».

©Gail Albert Halaban, Out of my window, Istanbul

Quando è cominciato?
«All’inizio lo facevo solo per i miei amici. Ero in quella fase in cui, dopo aver avuto un bambino, avrei fatto di tutto per uscire di casa e svagarmi un po’. È stata un’esperienza divertentissima perchè ognuno segretamente ha il desiderio di spiare nella vita dei propri vicini e questo progetto dava l’occasione di incontrarli».

©Gail Albert Halaban, Out My Window, Paris, Bis rue de Douai

Come le è venuta l’ispirazione per iniziare questo progetto?
«In occasione del primo compleanno di mia figlia, i nostri dirimpettai ci hanno mandato dei palloncini con un biglietto: “è stato bello vedere tua figlia crescere”. Da lì è nata la prima fotografia, con una coppia con un bambino, perchè è quello che io immagino vedessero loro dalla finestra guardando noi».

©Gail Albert Halaban, Out My Window, Cobble Hill, Brooklyn Snow, 2007

Come vengono preparate le fotografie?
«Ci sono due serie differenti. Inizialmente scattavo di persona su pellicola. In quel caso, preparavo le luci sia nella casa dalla quale fotografavo, sia in quella del mio soggetto. Comunicavamo in videoconferenza, attraverso due computer. Da qualche anno scatto in tutto il mondo restando a casa mia a New York. Come ci riesco? Grazie a dei collaboratori in tutto il mondo, a Parigi, a Pakistan, Venezia, Tokyo. Loro posizionano la macchina fotografica, io scatto e dirigo il soggetto attraverso il computer. Non potrei farcela senza la tecnologia».

©Gail Albert Halaban, Out My Window, In collaboration with Umair Abbassi

Gli scatti rimangono comunque molto naturali
«Per organizzare la composizione dello scatto, chiedo sempre ai proprietari di casa che cosa osservino abitualmente dalla loro finestra. In che posizioni e in quali attività vedano intenti i loro vicini. Per questo è tutto molto vicino alla realtà, nonostante i soggetti sappiano di essere fotografati e seguano le mie istruzioni e le luci siano posizionate correttamente.Di solito chiediamo ai committenti di mandarci un audio in cui ci spiegano quale immaginano essere la storia dei loro vicini. È molto divertente riascoltarli dopo che si sono incontrati».

©Gail Albert Halaban, Upper East Side, 1438 Third Ave, Families Before Dinner, New York, 2008

Il progetto ora è globale
«Si, mi chiamano da tutto il mondo, dalla Russia al Canada. Mando l’attrezzatura e poi coordino e realizzo lo scatto su zoom. È stato molto utile, specialmente in tempi di pandemia».

 

 

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