Scrivo queste righe seduto di fronte a una finestra che guarda i boschi coperti di neve. I bambini giocano in fondo al corridoio: sono la quarta generazione della mia famiglia ad abitare queste stanze. All’interno dell’anta di un armadio, piccole righe tirate a penna segnano il rincorrersi delle loro altezze anno dopo anno, e si sovrappongono a quelle tracciate per me alla loro età, e per mia madre una ventina d’anni prima.

La casa, costruita dove finisce il paese e iniziano i prati, è il punto fermo della mia vita – giù in pianura ho cambiato città e appartamenti, e con loro gusti, arredi, compagni di strada. Ma qui le cose seguono il loro ritmo diverso: il sole e la neve si alternano sulle tavole di ardesia del tetto, i piatti in dispensa sono gli stessi su cui si faceva merenda tanti anni fa, i vecchi vetri fanno quel che possono per proteggere dal vento freddo che scende dalla montagna.

È una casa accogliente e piena di luce. Sono stato fortunato: ho potuto lavorare da qui durante i tre mesi di lockdown, la scorsa primavera. E come molti, come tutti ho aspettato tra queste quattro mura che la storia facesse il suo corso, che le notizie drammatiche pian piano lasciassero spazio alla speranza: anche stavolta, in qualche modo, la vita sarebbe stata più forte di tutto, e avremmo potuto riprendere il cammino.

Oggi che mi trovo a prendere la direzione di AD, il giornale delle case, di quelle più belle del mondo come sta scritto in copertina, voglio dedicare un pensiero a tutte le case – a tutte, anche e soprattutto a quelle che non sono le più belle del mondo. Le case sono state l’ancora alla quale in questi mesi tutti noi abbiamo agganciato le nostre vite spazzate dalla bufera. Abbiamo imparato di nuovo ad apprezzare, e a non dare per scontato, quanto ci sappiano far sentire protetti. Le abbiamo curate, se ne abbiamo avuto la possibilità le abbiamo rese più belle e accoglienti. Ci sono mancate quando si trovavano in una regione che non si poteva raggiungere. Non vediamo l’ora che la bella stagione, e con essa una ventata di buone notizie, ci permettano di lasciarle – almeno per un po’, ché tanto loro stanno lì ad aspettarci. Proprio come questa casa sul bordo del bosco che magari non è la più bella del mondo, ma di sicuro lo è per me.

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