L’anno appena trascorso ha rivoluzionato le nostre vite e i nostri spazi: i concetti – prima quasi sconosciuti – di ”lockdown”, “smart working” e “DAD” (didattica a distanza) sono diventati la realtà quotidiana di milioni di persone. Rinchiusi tra quattro mura, abbiamo dovuto ricostruire il nostro mondo in una manciata di metri quadrati, tra lavoro, tempo libero, sport, relax e famiglia: così abbiamo rivalutato la casa, non più solo come luogo fisico, ma anche mentale. La pandemia ha lanciato una sfida agli architetti: inventare gli spazi di domani per adattarli a esigenze abitative nuove e in continua evoluzione.

Ludovica Serafini, ph. Enrico Costantini

Ne abbiamo parlato con Ludovica Serafini, cofondatrice del pluripremiato studio Palomba Serafini Associati.

Come è cambiato, nell’ultimo anno, il vostro lavoro?
«Il nostro studio ha sempre messo l’uomo al centro di ogni progetto: che si tratti di realizzare una casa, un ufficio o un museo, è sempre l’essere umano, con i suoi stress e le sue necessità, il nostro punto di riferimento. Adesso, finalmente, tutti si sono accorti che questo approccio ha un valore, quindi ci ascoltano di più. E anche noi ci divertiamo un po’ di più». 

 

Che cosa chiedono oggi le persone all’architettura e al design?
«Si percepisce il desiderio di vivere in uno spazio domestico che sia esclusivo e rispecchi le esigenze e la personalità di ciascuno. I clienti sono più attenti ai dettagli, come un tavolo disegnato su misura, o una carta da parati particolare». 

Lo smart working ha modificato profondamente il nostro stile di vita. In che modo si sono adeguati gli spazi abitativi?
«È un tema su cui ci siamo molto interrogati, al punto che insieme all’amica Margherita Sigillò di C-Zone Comunicazione & Eventi abbiamo lanciato il concorso SMART WORK LIFE per raccogliere proposte creative per migliorare la casa e riadattarla ai nuovi bisogni. Il Contest è aperto a tutti, compresi bambini e ragazzi dagli 8 ai 18 anni. I progetti vincitori si trasformeranno in prototipi che saranno presentati in occasione della Milano Design Week 2021». (Le candidature sono aperte fino al 2 marzo 2021 – info www.smartworklife.eu | www.instagram.com/smartworklife/ | Tel. +39 02 87286581 | E-mail: info@smartworklife.eu, ndr.). 

Che ruolo ha avuto e avrà, secondo lei, la tecnologia nel dettare le nostre nuove abitudini?
«Prima del Covid il nostro uso delle tecnologie era allo stadio iniziale: se ne intuiva il potenziale ma senza sfruttarlo. Ora la tecnologia è diventato l’unico strumento che ci permette di lavorare e socializzare e sono certa che assisteremo a un grande progresso in questo campo: la realtà aumentata renderà accessibile anche delle vere e proprie esperienze sensoriali». 

Con la reclusione forzata è emerso anche un grande desiderio di natura e spazi all’aria aperta. Come rispondere a livello progettuale?
«Non dimentichiamoci che siamo dei mammiferi, e in quanto tali abbiamo bisogno del contatto con la natura. Per chi vive in città, questo significa portare il verde dentro casa, attraverso terrazze e facciate attrezzate. Ma altrettanto importante è la riduzione dei consumi: questo  per me significa progettare “a chilometro zero”, utilizzando materiali e manodopera il più possibile locali ed evitando materie prime che consumano la terra; ma anche pensare al risparmio energetico, utilizzando soluzioni che evitino la dispersione del caldo e del freddo. Così facendo si crea un vantaggio per le persone, ma anche per la terra». 

Qual è il ruolo degli architetti in questo scenario?
«Gli architetti purtroppo hanno poco potere. Naturalmente possono fare grandi innovazioni di pensiero, o realizzare un edificio molto sostenibile. Ma il vero potere è nei soldi, non nella creatività. Servono imprenditori illuminati che investano nella sostenibilità e capiscano che solo la bellezza crea un’economia duratura. Noi italiani, abituati a essere circondati di bellezza, non ce ne rendiamo conto: negli ultimi 60 anni abbiamo distrutto il nostro meraviglioso territorio, costruito nei tremila anni precedenti». 

Come immagina le case del futuro?
«Abbiamo progettato una casa-drone (nella foto di apertura, ndr.) basata sulla teoria architettonica che per vivere abbiamo bisogno di molto poco: un bagno e una zona living in cui lavorare (grazie allo smart working), mangiare (con il delivery) e dormire (basta un divano comodo). Immaginiamo di poterci spostare dappertutto con questi droni volanti, portando con noi  tutto ciò che ci serve. Così facendo anche le città smettono di avere un senso e l’uomo può abitare ovunque senza però “invadere” gli spazi».

Oltre allo spazio domestico, anche il settore dell’ospitalità è stato completamente stravolto dalle conseguenze della pandemia. A quali cambiamenti assisteremo?
«Oggi progettare un albergo significa tenere conto delle nuove esigenze di distanziamento sociale, con soluzioni che non risultino però alienanti. Nel frattempo stanno emergendo anche degli spazi “ibridi”, che uniscono mondo residenziale e alberghiero. Il nostro studio ha appena inaugurato a Milano il Ginger House Project, un appartamento di 72 metri quadri che ridefinisce  il concetto di abitazione temporanea puntando su bellezza e arte. La casa è arredata con mobili di design italiano pluripremiato, opere d’arte e pezzi creati ad hoc per lo spazio e nello spazio, che vengono raccontati attraverso l’ipertestualità dei QR code. Allo stesso tempo offre dei servizi d’eccellenza,  grazie a un servizio di conciergerie dedicato che fornisce una soluzione a ogni problema, dall’autista al giardiniere, dallo chef stellato al personal shopper. Come in un hotel a 5 stelle». 




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