Da almeno cinquant’anni chi ha frequentato i grandi musei internazionali o anche semplicemente attraversato i tanti spazi pubblici dove Buren ha progettato i suoi interventi, ha imparato a riconoscere il segno inconfondibile della sua arte. Un linguaggio semplice, ridotto al minimo, fatto di colore e prima ancora delle iconiche strisce parallele; un modulo specifico ossessivamente ripetuto come segno primigenio dell’arte di Buren che l’artista adottò a partire dal 1965 come strumento per misurare e confrontarsi con lo spazio dopo che notò un simile motivo a bande in una comune tenda da sole.
Daniel Buren che, come non è raro leggere in molte note biografiche “vive e lavora in situ”, è soprattutto uno degli artisti che misero in discussione la forma stessa dell’opera d’arte in rapporto con gli spazi istituzionali deputate ad esporle contribuendo a strutturare quell’Institutional Critique che di fatto ha stabilito i paradigmi rinnovati negli anni Sessanta per intendere l’arte fuori e dentro dai musei. Per Buren tutto cominciò con l’assenza dell’atelier dove concepire in modo tradizionale l’opera da esporre in galleria e successivamente nel museo, una scelta radicale per superare il precedente sistema delle “belle arti”, concetto che Buren così espresse nel 1980 sulla rivista October: «Tutte le messe in discussione del sistema dell’arte passeranno dunque ineluttabilmente per una ridiscussione tanto dell’atelier come unico luogo in cui si compie il lavoro quanto nel museo come unico luogo in cui si vede il lavoro compiuto».
Dai suoi esordi ad oggi Buren è giustamente diventato il punto di riferimento di tale approccio site specific inanellando nella sua lunga carriera un numero importante di commissioni destinate ai luoghi pubblici, alcune diventate elementi fissi dell’arredamento urbano, come nel celebre “colonnato” della piazza parigina del Palais Royal. Illuminare lo spazio, lavori in situ e situati, la mostra curata da Lorenzo Giusti è espressione di questa poetica e in particolare dell’interesse più recente di Buren per la luce che l’artista ha condotto negli ultimi anni analizzando in particolare le qualità tecniche ed espressive della fibra ottica. Nella medievale Sala delle Capriate nel cuore storico di Bergamo Buren ha dunque sfruttato un’intelaiatura preesistente composta da otto moduli esagonali sospesi per “appendere” i suoi tessuti luminescenti che configurano uno spazio assai peculiare, modulato da pattern geometrici e da quella palette cromatica ormai diventata tradizionale nelle installazioni dell’artista.
Vale la pena passeggiare tranquillamente tra gli arazzi di luce e colore pensati da Buren, lasciare che la vista si abitui all’oscurità che li circonda per godere di un particolare sguardo e relazione formale tra l’astrazione radicale delle opere dell’artista e la moltitudine di rappresentazioni sacre di affreschi e pitture medievali ospitate sulle alte pareti della sala, creando un dialogo suggestivo e per certi versi evocativo del tragico periodo che la città ha vissuto negli ultimi mesi.
DANIEL BUREN PER BERGAMO
Illuminare lo spazio, lavori in situ e situati
a cura di Lorenzo Giusti
Sala delle Capriate | Palazzo della Ragione, Città Alta, Bergamo
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo Via San Tomaso, 53
24121 Bergamo
Tel. +39 035 270272
gamec.it
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