No Space, Just a Place Eterotopia
No Space, Just a Place Eterotopia
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No Space, Just a Place Eterotopia
No Space, Just a Place Eterotopia
No Space, Just a Place Eterotopia
No Space, Just a Place Eterotopia
No Space, Just a Place Eterotopia
No Space, Just a Place Eterotopia

Prendendo spunto dalla complessa storia degli spazi d’arte indipendenti e alternativi della capitale sudcoreana e dalle riflessioni di Alessandro Michele sull’eterotopia, arriva No Place, Just a Place.
La mostra propone una nuova definizione di ciò che potrebbe essere uno “spazio altro”: un luogo per costruire un futuro diverso e auspicabile, con modalità nuove per gli esseri umani di relazionarsi gli uni agli altri e all’ambiente circostante. Questo approccio getta le basi per una nuova prospettiva sullo “stare insieme” senza costituire un’unica entità. Dal punto di vista tematico, ogni progetto è legato all’idea di spazi alternativi come luogo utopico in cui ambientare nuove narrazioni capaci di incoraggiare l’auto-affermazione, soffermandosi sulla nozione di alterità, l’esplorazione delle identità minoritarie e della politica queer.

 

No Space, Just A Place, curata da Myriam Ben Salah, nota per la sua visione estetica radicale, è ispirata dalle riflessioni di Alessandro Michele sulla società, i cui temi chiave sono il valore etico ed estetico dei rapporti tra generi e “gender”, il concetto di “learnscape” (ambiente che facilita l’apprendimento in maniera diretta), il bisogno di auto-espressione e un manifesto antropologico senza età. Temi che si riflettono nella missione e nelle ambizioni di questi spazi alternativi. Tali spazi chiamano in questione la neutralità della classica, asettica galleria d’arte commerciale, proponendo opere sperimentali, spesso impegnate politicamente, volte più a suscitare dibattiti artistici che al successo commerciale. Dalla spontanea comparsa di tali iniziative alla fine degli anni ’90 a Seul, numerosi progetti hanno messo in discussione in maniera critica l’ecosistema del mondo dell’arte. No Space, Just a Place mira a dare visibilità a questi luoghi “altri”, esplorando il loro essere “alternativi” come strumento concettuale attraverso il quale riflettere sull’autonomia, sfidare l’autorità e ipotizzare nuove narrazioni per il futuro.
Alcuni selezionati spazi d’arte indipendenti sono stati invitati a esporre sui tre piani del Daelim MuseumAudio Visual Pavilion, Boan1942, d/p, Hapjungjigu, OF, Post Territory Ujeongguk, space illi, Space One, Tastehouse, White Noise. Ognuno di essi presenterà un progetto ideato dal proprio team in collaborazione con la curatrice, proponendo le opere di uno o più artisti da loro rappresentati o sostenuti.

Significativa l’opera dell’artista Sungsil Ryu – presentata da Boan1942 – che esplora l’idea dei paradisi artificiali. La sua installazione, Psychedelic Nature, esplora superstizioni secolari e narrazioni mitologiche che stabiliscono un legame fra esseri umani e natura. Hapjungjigu presenta l’opera della pittrice Jun Hyerim, che attraverso le sue tele tridimensionali esamina il concetto di Arcadia, il cui significato in coreano è ambivalente: la “terra ideale” ma anche ciò che è “impossibile da realizzare”. Post Territory Ujeongguk espone Lunar Real Estate di Kang Woohyeok, in cui l’artista proietta sulla luna la possibilità di possedere un terreno – un’assoluta necessità a Seul e nelle sue immediate vicinanze. L’artista utilizza questo terreno immaginario situato nello spazio per esplorare il rapporto ambivalente tra mondo reale e virtuale, il possibile e l’impossibile, ciò che possediamo e ciò che sogniamo di possedere.

Audio Visual Pavilion riunisce opere tratte dai suoi archivi per il progetto AVP Route che mette in discussione le nozioni di movimento e transizione attraverso il tempo e lo spazio. Tra le altre, AVP presenta opere dell’artista Sunho Park che esaminano oggetti, memorie e spazi scomparsi, oltre alle informazioni di carattere geografico e la loro spettrale materializzazione tramite le carte geografiche. d/p propone invece uno spazio che non può mai essere “altro”: il corpo, un luogo eterno da cui non possiamo fuggire. Documentando la performance Tongue Gymnastics della coreografa Yun-jung Lee, d/p esamina il movimento del corpo, e della lingua in particolare, visto sia come luogo che come sede di sensazioni e connessioni. OF, uno spazio più recente che si autodefinisce un microcosmo di varie modalità di sopravvivenza urbana piuttosto che come luogo di fruizione artistica, presenta un progetto che esamina la nozione di domesticità, di separazione tra l’interno e l’esterno attraverso tre stanze distinte caratterizzate da livelli diversi di privacy, che stimolano livelli diversi di coinvolgimento.

space illi presenta Swimming QFWFQ*, un progetto che riunisce opere di artiste accomunate dal desiderio di osservare più da vicino ciò che consideriamo “naturale”. Scomponendo e ricomponendo questo stesso concetto, esse creano un cambiamento di prospettiva nello spettatore che rivela le faglie nascoste delle nostre società contemporanee. In I love we love we love I, Space One suscita l’illusione dell’emozione come simulacro. Attraverso una rassegna di mostre, performance e interventi tratti dagli archivi, la micro-mostra esplora i confini tra romanticismo e critica. Il progetto di Tastehouse, Tasteview Daelim Branch, riflette sull’idea di valore dell’arte e su come tale valore esista all’interno di uno spazio commerciale. Con la realizzazione di uno spazio alternativo, solo all’apparenza commerciale, dentro il museo − un “negozio che non vende” − Tastehouse si ricollega al vero valore degli oggetti e alla condizione dello spettatore in quanto consumatore.

Infine, in Secret of Longevity, White Noise riflette sulla re-invenzione dell’identità di un artista tramite la collaborazione, grazie a continue relazioni temporanee. Per esempio, il collettivo di artisti Dans ta chambre e l’artista Joohye Moon collaborano per realizzare un’installazione che si basa sull’interazione tra interno e esterno di uno schermo, spazio reale e spazio virtuale.

Per arricchire il dialogo e alimentare il dibattito, la curatrice ha invitato artisti locali e internazionali a esporre le proprie opere sotto forma di installazioni immersive ispirate al futuro prossimo o a mitologie fantastiche. Meriem Bennani, Olivia Erlanger, Cécile B. Evans, Kang Seung Lee e Martine Syms presentano progetti che mettono in discussione in maniera giocosa le anguste prospettive delle narrazioni normative dominanti in perfetto accordo con la visione singolare, eclettica e contemporanea di Gucci. I temi evocati sono il dislocamento, la biotecnologia, il queering e l’ibridazione, in un’esplorazione del potenziale della narrazione e della finzione nel raccontare storie di “alterità” che promuovano l’emancipazione.

Meriem Bennani propone Party on the Caps (2018-2019), una video-installazione che segue gli immaginari abitanti di CAPS, un’isola nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico dove vengono relegati rifugiati e immigrati “clandestini”. Bennani immagina nuove strutture di dislocamento (fisico e psicologico) imposte ai migranti in futuro, creando nuove comunità definite da riferimenti geografici, categorie di cittadinanza, età e genere.

Nella sua installazione, What The Heart Wants, Cécile B. Evans esamina le interazioni tra persona e macchina che ormai definiscono la condizione umana contemporanea. Dai paradossi di un futuro ormai presente emerge una riflessione su chi, o cosa, costituisce una persona, e sul modo in cui i sistemi definiscono ciò che significa essere “umano”.

L’installazione su parete Covers (QueerArch) di Kang Seung Lee si avvale della collezione d’archivio di QueerArch per proporre una visione alternativa della comunità queer e della sua storia nella Corea del Sud degli ultimi quattro decenni, rendendo omaggio alle storie personali relegate ai margini dalla storia ufficiale.

L’opera surreale Ida, Ida, Ida! di Olivia Erlanger trasforma lo spazio del museo in una lavanderia a gettoni, un luogo che è quasi un non-luogo, dove si aspetta e si passa il tempo. La lavanderia a gettoni è popolata da racconti di sirene, che rievocano la presenza di queste entità chimeriche pre-gender e fanno affiorare problematiche legate alla mobilità, all’ibridazione e agli archetipi di genere.

Infine, la video-installazione di Martine Syms, Notes on Gesture, è una riflessione sul modo in cui il gesto, il linguaggio del corpo e il linguaggio propriamente detto sono modellati dalle dinamiche culturali e permettono di interpretare l’identità, il che implica che quest’ultima è un costrutto e crea la possibilità di identità alternative.

No Space, Just a Place

Eterotopia

Dal 17 aprile al 12 luglio 2020

Daelim Museum, Seul

https://nospacejustaplace. gucci.com/

La mostra è accessibile e visitabile virtualmente attraverso un video a 360° disponibile a questo link: https://nospacejustaplace.gucci.com/en.html#360tour

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