Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina
Federico Babina

Per Federico Babina architettura e illustrazione viaggiano insieme, si intersecano. Nelle sue opere, le strutture architettoniche e il design sono al servizio del racconto e diventano parte del disegno. «Un architetto sicuramente deve essere anche un buon illustratore per poter raccontare al meglio i suoi progetti – spiega – È la prima forma per esprimere le proprie idee»

Nato a Bologna, ha studiato a Firenze. Poi l’apertura di uno suo studio di architettura nella città natale.
Da dieci anni vive e lavora a Barcellona, dove la sua carriera ha preso una svolta, deviando dal percorso ordinario di architetto e approdando all’illustrazione. Le sue opere raccontano personaggi, libri, registi, designer, film, fiabe, ma anche malattie mentali e isolamento attraverso la costruzione di edifici immaginari. È qui che entra in gioco l’architettura: sono le case, le stanze e i palazzi stessi a spiegare la visione di Babina di Marcel Proust, dell’isolamento, di un film di Hitchcock, del Mago di Oz. Ogni progetto approfondisce un tema attraverso la creazione di immagini «in serie», con una struttura complessa alle spalle ma dalle linee semplici e pulite, di immediata comprensione.

Archist Classic – Matisse © Federico Babina

Nell’album Archist, per esempio, designer e pittori sono i protagonisti: ogni edificio è intitolato a un arista ed è disegnato catturando e condensando nei complementi architettonici le caratteristiche di ognuno di loro. La casa di Andy Warhol non può non essere tappezzata da finestre con vetri dai colori pop, con le sagome di Marilyn Monroe stampate sui muri e lattine di zuppa Campbell a fare da camino. Quella di Lucio Fontana ha la facciata decorata dai classici «tagli» che la attraversano da parte a parte. Christo è rappresentato da un edificio interamente ricoperto di tende, «impacchettato» come le sue opere. 

Una delle sue ultime serie è quella che ha realizzato nel periodo di lockdown. Archisolation, con cui ha raccontato la vita tra le quattro mura domestiche  in tempi di isolamento sociale.

Archisolation © Federico Babina

Che cosa ha cercato di trasmettere con questa serie?
«Passare l’isolamento in un appartamento o in una villa, in una casa con o senza finestre ha fatto la differenza. Ogni giorno provavo a realizzare un’immagine che raccontasse quello che l’isolamento rappresentava per me, quello che si respirava in quel periodo. Durante l’isolamento sono emersi una serie di elementi nuovi, compreso un linguaggio nuovo con il quale veniva raccontata la realtà. Ho cercato di raccontarlo e di tradurre questi pensieri in immagini, trasformandoli in piccole architetture: dalle curve del contagio, sempre presenti, alla distanza fisica da mantenere. La stessa vita che facevamo era una vita dalla finestra. Noi guardavamo all’esterno e gli altri, da fuori, vedevano la nostra: per un periodo siamo diventati come dei voyeur, eravamo anche più osservati attraverso la tecnologia. Ho provato a trasferire su carta tutte queste riflessioni».

L’architettura è in tutto quello che ci circonda?
«Una cosa che mi piace ripetere è che io cerco l’architettura negli universi paralleli. La trovo dappertutto. È una disciplina che amo molto ma che allo stesso tempo critico. È un settore che a volte diventa elitario: gli architetti si prendono troppo seriamente. Io vedo l’architettura dappertutto e penso che sia per tutti. Noi viviamo dentro case, dentro a luoghi e spazi che abitiamo, che ci influenzano e che hanno un peso importantissimo per il nostro umore e per la nostra quotidianità. Il mio obiettivo è cercare di dare delle visioni che possano essere comprensibili anche a un pubblico di non addetti ai lavori, per questo creo immagini semplici». 

Tra le sue serie più celebri ci sono Archiset e Archidirectors  in cui rappresenta i set dei film, e i registi più celebri. Quanto sono interconnessi cinema e architettura?
«La mia passione per l’architettura è nata anche attraverso il cinema. Quando si guarda un film, per un paio d’ore ci si immerge in una scenografia reale o effimera. L’ambiente diventa parte della storia. Uno dei film che ha segnato il mio percorso è L’idolo delle donne di Jerry Lewis, in cui il protagonista interpreta un cameriere di un pensionato. La scenografia è organizzata come una casa delle bambole, con circa sessanta camere. In ognuna di queste stanze succede qualcosa di strano, di surreale. Mi è rimasto molto impresso questo modo di unire architettura e cinema. Da allora la cerco dove meno me la aspetto».

Archidirector – George Lucas © Federico Babina

Lo stesso vale per la letteratura, che ha raccontato nella serie Archiwriter.
«Un testo letterario è come se fosse una casa: poggia su una base tematica, si sorregge su una struttura letteraria, si definisce con uno stile narrativo. Il ritmo e la scelta delle parole completano il tutto, come i dettagli in architettura. Ci sono varie similitudini. Quando leggo un libro mi creo degli ambienti nella testa a partire dalle descrizioni, dalle parole. Comincio a costruirmi degli interni, delle architetture. Nella mia serie Archiwriter, ho realizzato degli edifici utilizzando delle frasi, delle citazioni di scrittori che ne componevano la struttura, mentre lo stile era il risultato dell’interpretazione dello stile letterario attraverso il mio filtro. Gli edifici possono essere fluttuanti, vernacoli, delle strutture itineranti, concentriche. Come può esserlo la scrittura, che ti attrae e ti fa scoprire i suoi segreti». 

Archiwriter – Hemingway © Federico Babina

Che cosa vuol dire per lei guardare il mondo con gli occhi di un bambino?
«Cerco di seguire sempre la semplicità. Bruno Munari diceva che semplificare è la cosa più difficile. Per semplificare bisogna saper togliere il superfluo e lasciare l’essenziale, come uno scultore che prende un blocco di pietra e toglie il materiale in eccesso. La mia idea è sempre quella di provare a lasciare un messaggio lineare e comprensibile, in cui ognuno possa vedere quello che vuole, quello che sente. Io magari nascondo piccoli dettagli. Quello che spero di creare è un’immagine che passi immediatamente. Cito i bambini non perché abbiano più capacità degli adulti, ma perché hanno meno filtri nel vedere le cose. Crescendo inizi a pensare: questo non si può fare, questo non va bene, non è possibile. Mentre un bambino non sa che una cosa non si può fare, quindi non si pone problemi a disegnare un asino che vola. Quando ero un bambino facevo un gioco: mettevo la testa tra le gambe e guardavo il mondo al contrario. Questo tentativo di spostare il punto di vista, lo porto anche nelle mie illustrazioni. Mi fa provare a vedere le cose in un modo differente».

The post Dalla casa di Andy Warhol alla villa di Fellini: il mondo illustrato di Federico Babina appeared first on AD Italia.

Non perderti le nostre news!

Non inviamo spam! Leggi la nostra Informativa sulla privacy per avere maggiori informazioni.