Coco Chanel affermava: “La moda è come l’architettura, è tutta una questione di proporzioni”. Un legame consolidato quello di due discipline unite dall’armonia dei volumi. Istinto, creatività e un pizzico di rigore sono gli ingredienti miscelati nello shaker di eclettici artisti, coloro che rappresentano il punto di rottura tra due espressioni divise da labili confini.

L’architettura interseca la moda, la contamina, i canoni si invertono; la prospettiva e il rigore si intrecciano a sperimentazioni impulsive generate dalla volontà di condividere. Espressione e coesione legano i quattro artisti poliedrici che hanno ridefinito il concetto di design.

Archivio Fondazione Gianfranco Ferré (1988)

La laurea in architettura al politecnico di Milano nel’69 e la passione per la creazione di bigiotteria e accessori sarà il connubio che sancirà il successo dello stilista Gianfranco Ferrè. Il primo architetto, il primo italiano; viene chiamato dall’imprenditore visionario Bernard Arnault alla direzione artistica della casa di moda francese Dior. Era il 1989 quando lo stilista, con il suo primo debutto parigino, ridefinisce le sorti della moda. Ferrè sembra instaurare un dialogo immaginario con il Maestro della Maison Christian Dior, scomparso nel ’57, diventando precursore di una moda visionaria. Designer, è così che piaceva definirsi Gianfranco, disegnatore compulsivo, portavoce di una disciplina architettonica a tratti vanificata dall’estro eclettico espresso attraverso i suoi disegni. Le linee guida definiscono i punti cardine del corpo umano: le spalle, la vita, le gambe, così i profili decisi si mescolano ai tratti sottili; i segni a matita graffiano il foglio e contemporaneamente chiazze di colore compongono la struttura dell’abito. Bozzetti impulsivi, disegni essenziali e idee spontanee gettate sulla carta si tramutano in abiti voluttuosi e scenografici. Questi i tasselli che costruiranno la strada del successo di colui che è considerato il “personaggio cardine”, il precursore, l’intellettuale che spalancherà le porte all’ evoluzione di un mondo interiore.

Se Ferrè rappresenta il punto di rottura, il piccone che ha inciso la prima crepa sul muro di confine tra moda e architettura, il lavoro del designer inglese William Morris, circa un secolo e mezzo dopo, ispirerà Jonathan Anderson, direttore Creativo della Maison Loewe. Morris precursore del movimento Arts and Crafts, divenne famoso per la Red House, realizzata dall’amico architetto Philip Webb nel 1859 e arredata da lui. Portavoce di un’architettura democratica lontana dai consueti canoni classici, contraddistinta da volumi semplici e rilassati, anticipa con la sua opera lo schema moderno influenzando notevolmente gli architetti della sua epoca. La casa di moda spagnola Loewe nel 2017 lancia una capsule collection ispirata all’artista britannico; le stampe liberty di William Morris abbandonano carta da parati e tappezzeria per trasferirsi su bom- ber di pelle, maglieria e accessori. La moda si accosta al design d’interni riproducendo lo scenario fiabesco frutto dell’inventiva di Morris, depositario di virtù quali sperimentazione e tradizione di cui Jonathan Anderson ha saputo farne tesoro.

Notata fin da subito da Karl Lagerfeld, direttore artistico della Maison Chanel, l’Archistar Zaha Hadid venne chiamata nel 2007 a disegnare lo Chanel mobile art exhibit; il padiglione mobile che celebra l’iconica borsa matelassé in una distorsione parametrica di circa 800 metri. Nel 2008 disegna per Lacoste una collezione di scarpe sportive dal design innovativo. Di lì a poco le linee fluide e organiche di Zaha conquistano con naturalezza il mondo delle calzature; dalla scarpa in plastica per Melissa alla collaborazione con il marchio di lusso britannico Charlotte Olympia nel 2015; la designer diventa così portavoce di una moda architettonica. Diverse anche le collaborazioni con l’Atelier Swarowski, dai complementi d’arredo alla collezione di gioielli contraddistinti dai ricorrenti tratti sinuosi e femminili.

Zaha Hadid X Melissa
Chanel Mobile Art, Zaha Hadid Architects

Dulcis in fundo la chiamata da Louis Vuitton per reinterpretare l’iconica Bucket Bag la cui forma originale viene estrusa e distorta fino a creare una vera e propria borsa-scultura. Lo stile di Zaha Hadid è il perfetto connubio di femminilità e dinamismo, le sue collaborazioni rappresentano ad oggi, dopo la scomparsa prematura, un tributo al design contemporaneo; il riconoscimento a colei che è riuscita a varcare le frontiere della disciplina creando un nuovo ed inconfondibile linguaggio Virgil Abloh è da sempre considerato “l’outsider” della moda per il suo approccio eclettico che abbraccia contemporaneamente più discipline. Nato a Rockford, in Illinois nel 1980, Abloh dopo aver conseguito la laurea in ingegneria civile e in architettura inizia la sua carriera presso lo studio OMA fondato da Rem Koohlaas. All’età di 18 anni collabora con il rapper Kanye West occupandosi di disegnare tutto il merchandising, in seguito diventerà direttore artistico e si occuperà della musica e dei tour mondiali. Inizia ufficialmente la sua avventura nel mondo della moda ideando Pyrex Vision, il brand avrà vita breve ma rappresenterà il trampolino di lancio verso il successo sancito un anno dopo con l’apertura di Off-White c/o marchio che lo consacrerà come lo stilista dello streetwear di lusso. La visione di Abloh è pura contaminazione: musica, arte, moda e architettura confluiscono in un’unica direzione apportando un grande impatto alla società post-moderna.

Virgil Abloh x Louis Vuitton F/W 20-21

Il 26 marzo 2010 Virgil prende il posto di Kim Jones, ex direttore artistico della linea Uomo per la Masoin Francese Louis Vuitton. Abloh riflette i canoni matematici e prestabiliti dell’architettura in una dimensione dove non esistono limiti, abbatte le barriere e favorisce la comunicazione tra diversi background, questo il segreto che l’ha portato a diventare un vero e proprio leader; colui che, come ha affermato Michael Burke, presidente e CEO di Louis Vuitton, guiderà il concetto di moda nel futuro.

 

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