David Wiseman
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Fiori di ciliegio in porcellana, paraventi come rami di bronzo, lucenti cristalli di rocca. La natura è l’ispirazione delle creazioni di David Wiseman (1981), designer californiano basato a Los Angeles. Dagli anni Duemila, quando ha iniziato a creare mobili come studente alla Rhode Island School of Design, ha compreso il valore dell’ornamento. E ha iniziato a disegnare arredi e oggetti che eludono il confine tra arte e design.

Nel 2017, con il fratello Ari Wiseman, ha fondato a Los Angeles lo studio che porta il suo nome – Wiseman Studio, oggi ospitato in un ex complesso industriale punteggiato di giardini. A caratterizzare i suoi lavori, commissionati da una clientela internazionale, è l’artigianalità. Unita alla capacità di infondere personalità a ogni ambiente.

Il 7 aprile, dopo 15 anni di carriera, arriva la prima monografia dedicata al suo lavoro: David Wiseman (2020), edita da Rizzoli Electa. Il libro – scritto da Mayer Rus (West Coast editor di Architectural Digest), Susan Weber (fondatrice e direttore del Bard Graduate Center for Studies in the Decorative Arts) e David Wiseman (con un testo di Bobbye Tigerman) – illustra e racconta il lavoro del designer attraverso illustrazioni, fotografie, documenti e schizzi delle sue opere. Che spaziano dagli oggetti d’arte agli arredi scultorei alle installazioni ambientali. Ecco l’intervista.

Com’è nata la tua passione per l’art design?
«Un ruolo importante l’hanno avuto alcuni insospettabili colpi di fulmine. Ricordo ancora l’emozione provata ammirando le sedute di Carlo Mollino. Ho amato tutte le creazioni di Droog, noto collettivo di designer olandesi. Non posso dimenticare una mostra di Dagobert Peche alla Neue Galerie di New York; o ancora i viaggi a Kyoto negli anni Duemila. Oltre alla mia passione per il design sentivo di potermi mettere alla prova per dare il mio personalissimo contributo».

Qual è la tua fonte di ispirazione?
«Vivere a contatto con la natura: direttamente oppure portandola nella nostre case».

Come descriveresti il tuo processo creativo?
«Tutto inizia con il disegno. È la base del mio lavoro. Spesso accade a tarda notte: quando lo studio è silenzioso e immerso nella quiete ho il tempo di soffermarmi sulle immagini che più mi emozionano. Quindi l’idea si cristallizza e informa tutti gli aspetti dell’opera: i media, la forma, la scala. Certo, in fase di produzione posso apportare modifiche, ma la mappa concettuale è impostata con il disegno. Tutte le incognite seguono e onorano l’intento dello schizzo originale».

Interior design: quale stile prediligi?
«Non ho uno stile d’elezione, mi piace moltissimo Tony Duquette. Ciò che più mi affascina è vedere come le persone cerchino di dare forma a un ambiente che possa rispecchiare al meglio le loro passioni».

Qual è il tuo approccio all’interior design?
«È un processo del tutto sperimentale. La mia casa, per esempio, è un po’ come un progetto in corso. Perché quando mi serve qualcosa penso: “beh, ora non mi resta che trovare il tempo per realizzarlo!”. Poi ci sono arredi e oggetti d’arte (d’epoca e contemporanei) che riflettono le mie passioni. Quelli a cui sono più legato sono un paravento giapponese del XIX secolo, una panca della Secessione Viennese, uno splendido pouf di Renate Müller, le ceramiche dei miei amici Adam Silverman e Ben Medansky; le fotografie di mio zio, Mark Hanauer».

Hai lavorato con materiali molto diversi tra loro: in particolare bronzo, porcellana, vetro…
«Sì perché ogni materiale ha un “carattere”, delle qualità che si adattano a contesti diversi. Ultimamente sto sperimentando molto con i cristalli di quarzo».

La creazione più straordinaria che hai realizzato negli ultimi anni?
«Una tettoia composta da rocce di cristallo di quarzo illuminato, in mezzo a un giardino di porcellana fatto di gerani, ninfee, dature e orchidee».

C’è un edificio che sogni di decorare con un progetto site-specific?
«Mi piacerebbe decorare un teatro pubblico o un teatro dell’opera e presentare una meravigliosa visione della natura e dell’ornamento. È il caso di dirlo: sarebbe un sogno che diventa realtà».

Chi sono i tuoi artisti o designer preferiti e perché?
«Dagobert Peche, Josef Hoffmann, la Secessione Viennese. Perché abbracciarono la natura e l’ornamento per infondere narrazione e bellezza a oggetti, ambienti, edifici: lo fecero con una sensibilità che parlava alle persone dell’epoca. E perché seppero valorizzare il piacere dell’ornamento precorrendo il massimalismo, invece di mettere a nudo l’estetica strutturale, come i loro successori riduzionisti. Certo, con un simile approccio anche François-Xavier e Claude Lalanne furono pionieri».

A quali progetti stai lavorando?
«Ho in corso una serie di entusiasmanti lavori su commissione. Tra questi un’installazione a soffitto di rami di bronzo con fiori illuminati per una nuova, straordinaria casa a Beverly Hills, con una vista che domina la città; una ceiling installation di grandi dimensioni in gesso, quarzo e vetro. Sulla base di un serpente in bronzo recentemente completato – con una moltitudine di colori e motivi decorativi – i collezionisti mi hanno chiesto di decorare un’intera stanza con il tema del serpente, avvolgendo cornici di fogliame intorno a specchi e circondando le luci di cristallo di quarzo a filo delle pareti».

Opere di David Wiseman fanno parte delle collezioni permanenti del Los Angeles County Museum of Art, del RISD Museum, e del Corning Museum of Glass. È rappresentato dalla galleria Kasmin.

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