Casa Derom a Bruxelles
Casa Derom a Bruxelles
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Casa Derom a Bruxelles
Casa Derom a Bruxelles

Adrien Meira è un giovane – 28 anni – architetto belga con la passione per l’arte. Non a caso, appena finiti gli studi a Sint-Lucas (il campus di Bruxelles dell’Università Cattolica di Lovanio), ha scelto di non entrare in uno studio ma di andare verso il mondo delle gallerie d’arte moderna e contemporanea. Una strada che l’ha portato a lavorare con istituzioni importanti: a Bruxelles con Patrick Derom e Almine Rech (galleria con sedi, oltre a Bruxelles, a Parigi, Londra, New York e Shanghai), e a New York con la Greenspon Gallery.

«Ho iniziato a prendere confidenza con la scenografia realizzando i modelli degli allestimenti per alcune mostre da Almine Rech», ricorda oggi. «In quello stesso periodo, Derom mi ha chiesto di progettare il suo stand per l’edizione 2018 di TEFAF Maastricht. Lo spazio era dedicato esclusivamente a Pol Bury, ed è stato un grande successo. Tanto da riportare l’attenzione del pubblico su di lui e sulle sue sculture cinetiche».

Sopra al divano di Pierre Paulin, nel living, un lavoro di Jacques Villeglé. Foto di DePasquale+Maffini.

Poco tempo dopo, Derom – che per anni aveva vissuto in una villa progettata da Adrien Blomme, uno degli architetti più attivi in Belgio nel periodo dell’Art Déco – acquista l’appartamento fotografato in queste pagine. È il 2018, l’anno in cui Meira apre il suo studio. «Patrick è stato subito affascinato dall’architettura in mattoni di questo edificio che ricorda la sua magnifica casa precedente», dice l’architetto. «Nei miei progetti, il punto di partenza sono sempre la coerenza e il rispetto per il contesto. Ma in questo caso, a parte alcuni elementi come le vetrate dell’atrio, che abbiamo conservato, in questo attico non c’era quasi niente di autentico. E sapevo che la ristrutturazione, anche solo dal punto di vista tecnico, avrebbe comportato un grande lavoro. Così abbiamo deciso di partire da zero: mettendo al centro del progetto, per valorizzarle, le opere d’arte della collezione di Patrick. E articolando la disposizione degli spazi in modo chiaro, come era stato fatto nella sua casa precedente, attorno a tre assi che partono dall’ingresso. Il primo conduce al grande soggiorno, il secondo alla sala da pranzo e il terzo alla zona delle camere da letto».

Per Meira è stato un incarico ideale, perfettamente all’incrocio tra arte e architettura, i suoi due grandi amori. «Patrick voleva prima di tutto un ambiente che non fosse sovraccarico, in modo che le opere della sua collezione potessero avere il giusto risalto. La collezione è costituita principalmente da opere d’arte del XX secolo. A Sint-Lucas, nell’ambito della mia formazione, ho scritto uno studio sull’evoluzione degli spazi espositivi e sapevo che dovevo incentrare il progetto proprio su questi pezzi, e sul fatto che sarebbero stati cambiati spesso nel corso del tempo all’interno dell’appartamento. Il secolo scorso ha visto l’affermarsi universale del modello “White Cube”, l’ambiente bianco e immacolato in cui l’opera spicca in modo assoluto, che è diventato un archetipo nel mondo dell’arte moderna. Per questo progetto sentivo che era necessario trovare un compromesso armonioso tra due funzioni: spazio espositivo e spazio abitativo, piacevole da vivere».

Vasca in pietra realizzata su disegno per il bagno padronale. Foto di DePasquale+Maffini.

La gamma dei materiali utilizzati è uniforme, la circolazione nei diversi ambienti molto intuitiva e aperta. Ci sono molte pareti a cui appendere quadri, ma quasi nessuna porta. «In questo modo, non c’è nulla che ostacoli la visione dei pezzi della collezione. Qui si può camminare come in una galleria», spiega Meira. «E, come architetto, non ho certo intenzione di mettermi in competizione con i lavori di autori come Léon Spilliaert, Joel Shapiro, Victor Vasarely o Julio Le Parc, che sono appesi alle pareti».

Il suo scopo era quella di ottenere una fluidità abitativa all’interno di una collezione privata di qualità museale. «Abbiamo scelto di non arredare troppo questi ambienti. Tutto l’insieme è stato studiato per vivere il meglio possibile in mezzo a questa collezione. Le protagoniste qui sono le opere d’arte, non io». Con i pezzi che ha selezionato, però, Meira ha fatto scelte non scontate. A parte due poltrone dalla vecchia casa di Derom, che sono state ritappezzate, tutti i pezzi di design che si vedono sono stati acquistati in aste, fiere o gallerie. Sono oggetti scelti da un occhio esperto, e si vede. Colpisce anche il modo in cui l’architetto ha cercato in ogni stanza un dialogo raffinato tra arte e design. Con sensibilità e cultura, senza cadere in nessun tipo di cliché.

Dare consigli ai suoi clienti su arte e arredamento è uno degli aspetti della sua professione che Meira preferisce e coltiva con passione. «Il collage di manifesti di Villeglé, il quadro di Vasarely e il divano di Pierre Paulin nel soggiorno sono tre pezzi francesi appartenenti alla stessa avanguardia storica. E la scultura di Joel Shapiro rende questo angolo del soggiorno molto dinamico».

Nella zona dedicata alla lettura l’elemento protagonista è la scala a chiocciola in muratura, un progetto di Meira molto scenografico. Le stesse linee curve si ritrovano, lì accanto, nella gouache di Hans Arp, nel tavolino di Silas Seandel e nelle poltrone di Jorge Zalszupin.

«Per quanto riguarda il design mi è stata data carta bianca. Ma per ogni acquisto mi sono sempre consultato con Patrick e con la sua compagna. Gran parte dei mobili che abbiamo selezionato sono stati progettati da architetti che ammiro molto. Ci sono modernisti storici come Alvar Aalto, Charlotte Perriand o Pierre Chareau. O architetti contemporanei: Studio Mumbai, Anne Holtrop». Questi ultimi, in passato, hanno collaborato con la galleria Maniera di Bruxelles, che invita architetti e artisti di reputazione internazionale a progettare mobili in edizione limitata. «Quando, a Design Miami, ho mostrato a Patrick il tavolo in travertino di Anne Holtrop, all’inizio non era convinto. Poi c’è stato un lavoro di aggiustamento delle dimensioni, non andava bene con le sedie di Sergio Rodrigues che volevamo abbinargli. Così adesso è diventato un pezzo unico».

L’appartamento di Patrick Derom è stato un ottimo esordio per Meira, che ora è impegnato in altri tre progetti sull’avenue Molière di Bruxelles, uno dei viali più prestigiosi della città. Collabora tuttora con gallerie d’arte come Vedovi, per cui progetta gli stand alle grandi fiere internazionali del settore. E – pur mantenendo la sua base a Bruxelles – tra i suoi obiettivi adesso c’è Parigi, la città dove è nato. Un talento da seguire.

Troverete l’articolo di Thijs Demeulemeester, con queste e altre foto di DePasquale+Maffini, a pagina 226 del numero di novembre di AD.

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