«Architetto? Riduttivo. Designer? Riduttivo. Artista? Riduttivo. A che cosa mi ispiro? Alla luce. La luce è determinante per le forme, per gli oggetti, per un’ambientazione totale. La luce ha e non ha dimensione, e ti permette di viaggiare molto lontano». Si raccontava così Nanda Vigo in una videointervista per Nowness nel suo appartamento milanese. Era luglio del 2019.
Oggi, 16 maggio 2020, (come per uno strano gioco del destino proprio nella Giornata Internazionale della Luce), si è spenta all’età di 83 anni la più grande studiosa di luce, colei che ne aveva fatto la materia d’elezione: tutta la carriera di Fernanda – per tutti Nanda – Vigo è votata all’obiettivo di trattenere la luce, superandone l’immaterialità.
Nata a Milano nel 1936, è stata una artista e designer brillante, creativa, cosmopolita. A 7 anni leggeva Flash Gordon. Forse già progettava il suo personalissimo e visionario mondo del futuro. Appassionata di film di fantascienza, si forma in Svizzera, va a lavorare negli Stati Uniti ma poi sceglie di vivere a Milano. Ha condiviso la propria avventura artistica e creativa con figure di spicco come Lucio Fontana («un vecchio chic, molto gentleman, dal baffo insuperabile», come lo definiva la Vigo), Piero Manzoni ed Enrico Castellani, solo per citarne alcuni. I suoi lavori sono stati esposti nei musei di tutto il mondo. Il 20 maggio, al Macte di Termoli (Campobasso), inaugura Light, a cura di Laura Cherubini, che resterà aperta fino al 13 settembre. Un’occasione imperdibile per conoscere a fondo questa incredibile donna, figura leggendaria dell’arte e del design d’avanguardia degli Anni Sessanta e Settanta, che assomiglia molto ai super eroi protagonisti dei suoi amati fumetti.
C’è qualcosa di magico nei suoi lavori. Lo dicono opere come Esoteric Gate, la scultura monumentale realizzata nel 2016 presso l’Università Statale di Milano, una delle sue preferite «Anche se il progetto che mi è rimasto nel cuore è quello che devo ancora realizzare», diceva. Poteva succedere che ti facesse interagire e dialogare con gli spazi: camminare tra quadri, vetri e sculture, neon e metalli. E che dire di “Cronotipi” da lei realizzati a partire dal 1962-63 in sintonia con le ricerche del Gruppo Zero, dove ci si chiudeva in scatole di luce e specchi?
Si tratta di opere che la scorsa estate 2019 Nanda Vigo ha “prestato” al magazine Glamour in occasione della mostra “Light Project”: l’antologica dedicata alla sua opera di scena al Palazzo Reale di Milano. Le sue sculture luminose sono diventate il set per il fotografo e la fashion editor Matt and Sarah, che hanno realizzato uno shooting di moda. Gli abiti e le modelle si sono integrati perfettamente, diventando tutt’uno con ambienti (environment), installazioni e sculture.
Leggerezza, mutazione, immaterialità. Sono questi gli elementi che hanno reso i lavori di Nanda Vigo così contemporanei e senza età. L’artista non aveva un carattere facile, eppure chi l’ha incontrata nell’ultimo periodo parla di una donna che, aiutandosi con un bastone e con la sua inconfondibile sciarpa di Vuitton sulle spalle, raccontava appassionata del suo alfabeto cosmogonico, di quel triangolo che rappresenta la terra e del cono che corrisponde al cielo. A Glamour rivelò anche il suo amore per il fashion «Sono un’appassionata di abiti e accessori, anche se la moda oggi ha la pretesa di essere considerata design. Io mi sono molto divertita a inventarla quando non c’era: negli anni Cinquanta disegnavo già boxer e minigonne».
E alla giornalista che chiedeva quale fosse la magia della luce, rispondeva: «Con una velocità di 300mila chilometri al secondo è di per se stessa una magia, come l’universo».
Buon viaggio Nanda. Lassù e oltre.
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