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Tutto iniziò con una tipografia. La composizione a mano delle pagine del giornale, la competenza con cui l’artigiano della carta stampata sceglieva assieme al giornalista il titolo più adatto all’articolo, in modo che calzasse al meglio sulla pagina, lo aveva conquistato. Allora Franco Cologni aveva da poco iniziato la carriera accademica come assistente alla cattedra di storia del teatro e parallelamente lavorava al quotidiano cattolico L’Italia, per cui curava la terza pagina, quella dedicata alla cultura. La folgorazione è arrivata così, accorgendosi di come il tipografo, un artigiano, non si limitasse a comporre il pezzo sulla pagina, ma fosse guidato da un senso estetico e da una competenza indispensabili per la realizzazione del progetto.

Foto- Peter Elovich, Fondazione Cologni

Sono passati 25 anni dalla creazione della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte e da allora Franco Cologni non ha mai smesso di esaltare, far conoscere e difendere il mestiere dei maestri artigiani, facendone il suo manifesto. «Fu proprio uno di questi artigiani a dirgli “meno dottori e più lavoratori” – spiega Alberto Cavalli, Direttore della Fondazione Cologni – e nel 1995, all’apice di una carriera straordinaria, (Presidente Mondo Cartier prima e Presidente Esecutivo di tutto il settore gioielleria e orologeria del Gruppo Richemont, poi) il dottor Cologni decise di aprire a Milano la sua fondazione privata che si occupasse dei mestieri d’arte. Nel ’95 l’idea del lavoro artigianale, anche quello legato all’eccellenza era un po’ il figlio meno fortunato del Made in Italy. Non se ne parlava molto o, se lo si faceva, passava tutto velocemente nel dimenticatoio».  Il che si traduceva in meno vocazioni e in una distanza sempre maggiore dalla politica e dalla comunicazione. «La fondazione è nata proprio per lavorare sulla cultura dell’artigianato, sulla conoscenza e sulla sua indagine scientifica ed accademica», continua.

Foto- Peter Elovich, Fondazione Cologni

In 25 anni la Fondazione ha supportato l’artigianato italiano con azioni che vanno dai tirocini per i giovani apprendisti, alla partnership con Michelangelo Foundation per la creazione della mostra “Homo Faber”, fino all’assegnazione ogni due anni del MAM, il riconoscimento del titolo “Maestro d’arte e Mestieri” agli artigiani italiani.

Maselli Gabriele, premiato MAM 2020

In che modo la Fondazione si sta impegnando per supportare le nuove generazioni?
«Quintiliano diceva che i giovani non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere. Da dieci anni abbiamo un progetto che si chiama “Una scuola, Un lavoro”,  nell’ambito del quale selezioniamo decine di giovani diplomati dalle migliori scuole di arti e mestieri e sosteniamo economicamente per loro sei mesi di tirocinio presso un maestro. Prima che inizi il periodo a bottega, li invitiamo a Milano a seguire un breve Master erogato da Bocconi, Politecnico, Iulm e scuola CorsiArte, cosicché i ragazzi inizino a lavorare avendo anche delle competenze preziose nel loro bagaglio. Oggi un artigiano deve saper comunicare: è anche un imprenditore e un progettista. In più, dato il momento di estrema incertezza, con il prezioso sostegno di Fondazione Bracco, Fondazione Cecilia Gilardi e Nespresso, abbiamo pensato di creare sei borse di studio speciali per l’anno accademico 2020/2021, per assicurare a studenti promettenti la sicurezza economica necessaria per completare gli studi».

Cazzaniga Ilaria, tirocinio Fondazione Cologni, foto di Peter Elovich

Chi è per voi il “Maestro d’arte”?
«È una denominazione giapponese, fa capo a una legge del 1950. Ci è sembrata così bella che abbiamo voluto farla nostra. La Fondazione Cologni dal 2016 con il progetto MAM, Maestro d’Arte e Mestieri va in questa direzione, valorizzando anche in Italia quelli che sono i “tesori viventi” dell’artigianato locale. È un titolo che abbiamo introdotto noi e che assegniamo ogni due anni ai migliori artigiani locali. Dietro c’è un lavoro attento e complicato fatto da commissioni composite che valutano, scelgono e assegnano il titolo a circa 70 artigiani. Invitando il Giappone come ospite d’onore e presentando questo concetto di “Tesoro vivente” all’edizione 2021 di Homo Faber, che progettiamo come partner di Michelangelo Foundation, abbiamo invitato tutti a riflettere sul fatto che anche in Europa abbiamo i nostri tesori legati al mondo dei mestieri. Anche se sono nascosti, difficili da trovare, vanno valorizzati. Accendendo piccoli fuochi da campo tutti i giorni e con il grande fuoco d’artificio che è Homo Faber, dovremmo cercare di portare un po’ di luce in questa direzione».

Anna Tosi, premiata MAM 2020

In un momento come quello attuale, quanto è importante sostenere le realtà artigiane?
«I maestri d’arte, i bottegai sono stati toccati in maniera drammatica dalle conseguenze della pandemia. Storie di generazioni e di passione distrutte. L’artigiano lavora perché il suo lavoro lo realizza e vedere che i loro sforzi venivano messi in crisi in questo modo è stato doloroso. Noi nel nostro piccolo abbiamo cercato di dare qualche segnale, facendoli sentire meno soli. Abbiamo molto potenziato il nostro portale Wellmade e abbiamo creato un’app ad esso collegata, con la quale si possono scoprire gli artigiani di ogni città italiana. Non si può viaggiare, ma magari vicino a noi ci sono bravissimi artigiani che varrebbe la pena conoscere. Invito tutti ad andare a trovarli, a parlare con loro, a vedere se la bottega è aperta, se l’atelier riceva. L’app serve anche per creare un dialogo».

Renato Miracol, premiato MAM 2020

In Italia, il problema della valorizzazione del sapere artigiano è culturale o strutturale?
«Dal punto di vista strutturale, il nostro Paese dovrebbe avere uno scatto di reni paragonabile a quello che ebbe la Francia alla fine del 1960 grazie a Valéry Giscard d’Estaing. Noi in Italia abbiamo la legge quadro dell’85 che definisce l’artigianato più su base quantitativa che qualitativa. Abbiamo un decreto del presidente della Repubblica del 2001 che parla delle lavorazioni tradizionali e su misura. Avremmo bisogno di qualcosa di specifico a livello istituzionale che tratti quella che è la spina dorsale del Made in Italy. È vero che la competenza in materia di artigianato è affidata alle Regioni, ma come è possibile essere considerati “maestri” in una regione e nell’altra no?
A volta mi sembra che la rilevanza del bello e ben fatto per il bene dell’Italia non sempre sia presente sulle Agende. Dal punto di vista culturale, bisogna insistere come arieti. Noi siamo la fucina delle meraviglie. In tutto il mondo vogliono vestirsi, mangiare e avere gli stessi oggetti che hanno gli italiani. Dobbiamo essere in grado di rispondere a questa domanda di meraviglia. Non perché siamo le formiche del mondo, ma perché siamo gli artefici di questa bellezza. In tutti i campi in cui l’Italia è eccellente, lo è perché c’è un dialogo tra la creatività e il saper fare».

Foto- Peter Elovich, Fondazione Cologni

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